
I milionari brasiliani preferiscono tenere il loro denaro in paradisi fiscali come Panama, Svizzera, Saint Vincent e Grenadine e altri, secondo un recente sondaggio che ha rivelato che la quantità di denaro depositato in conti bancari offshore ha superato i 520 miliardi di dollari. Pertanto, il Brasile occupa il quarto posto nella lista dei paesi con la più grande quantità di fondi in giurisdizioni offshore.
Per raggiungere la cifra miliardaria, James Henry, un economista che ha già lavorato per la società di consulenza McKinsey, ha indagato nei dati della Banca delle Compensazioni Internazionali, del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e nelle informazioni pubbliche dei governi. Con questo grande volume di numeri, ha preparato una relazione intitolata "Rivisitando il Prezzo dell'Offshore", che ha ricevuto ampia copertura mediatica.
Secondo Henry, dagli anni settanta del secolo scorso ad oggi, i cittadini più ricchi di 139 paesi hanno collocato, in circa 80 rifugi fiscali, tra 21 e 32 miliardi di dollari, equivalenti alla somma delle economie degli Stati Uniti e Giappone. Quasi un decimo di questi soldi, circa 2,05 miliardi, appartengono a latino-americani.
Per Henry, i soldi situati in paradisi fiscali rappresentano un enorme "buco nero" nell'economia globale e nella regione latino-americana è stato considerato "preoccupante" che nazioni come Brasile, Messico, Argentina e Venezuela siano nell'elenco dei 20 paesi che più soldi hanno nelle banche offshore.
Lo studio di Henry è stato sponsorizzato dall'organizzazione "Rete per la Giustizia Fiscale", dedicata alla lotta contro i paradisi fiscali, così che alcuni esperti hanno ritenuto che la visione dell'economista fosse troppo sbilanciata. Secondo John Christensen, direttore dell'istituzione promotrice, i paesi esportatori di ricchezze minerarie seguono un modello in materia di paradisi fiscali e gli imprenditori ricevono costantemente offerte da prestigiose banche offshore per depositare i loro beni.
Christensen ha aggiunto che tra i settori più inclini a usare i paradisi fiscali vi sono gli esportatori di minerali e petrolio, farmaceutico, telecomunicazioni e trasporti. "Le élite economiche si preoccupano molto perché gli altri paghino le tasse, ma non amano pagarle. Nel caso del Brasile, quando i miliardari protestano per le tasse elevate, si può credere che stanno mentendo, perché da anni inviano denaro ai paradisi fiscali", ha concluso il direttore.
Anche altri miliardari latino-americani hanno optato per mettere il loro denaro in paradisi fiscali come Granada, Isole Vergini Britanniche e Montserrat. Ad esempio, i cileni hanno collocato circa 105 miliardi, pari al 122% del debito estero del loro paese. Poi ci sono i colombiani, con 47,9 miliardi (76% del debito estero); i panamensi, con 37,6 miliardi (330%); gli ecuadoriani, con 21,6 miliardi (146%); i boliviani, con 18,4 miliardi (349%); gli uruguaiani, con 13,3 miliardi (103%), i salvadoregni, con 11,2 miliardi (110%); i dominicani, con 10,2 miliardi (78%) e i peruviani, 8,1 miliardi (22%).
Se fosse stato tassato almeno il 30% della rendita dei 21 miliardi non dichiarati di circa il 3% annuo, gli Stati del mondo avrebbero recuperato tasse tra 190 e 280 miliardi, secondo la "Rete per la Giustizia Fiscale".
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